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Soldi russi per Reykjavik

di Riccardo Sorrentino

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8 ottobre 2008

L'Islanda è cambiata. In un giorno solo. Lasciata sola o quasi ad affrontare la crisi, l'isola, da sempre avamposto americano, ha cercato aiuto in Russia. Mosca, desiderosa di ampliare la propria sfera di influenza, sta ora per concedere un prestito da quattro miliardi di euro.
Il "forse" è d'obbligo. Il panico che si è impadronito di Reykjavik ieri ha spinto la Banca centrale a rivelare l'intesa un po' troppo presto. L'ambasciatore russo Victor Tatarintsev, ha spiegato in mattinata la Sedlabanki, ha annunciato la concessione del prestito della durata di tre-quattro anni con un tasso di 30-50 punti base sul Libor. «Il Primo ministro Putin ha confermato questa decisione», affermava poi il comunicato.

Non è così, in realtà. Non ancora. Le trattative sono in corso e Mosca è «positiva», ha detto ieri il ministro delle Finanze Alexei Kudrin, ma «l'esito finale sarà annunciato dopo le contrattazioni». La delusione è stata quindi tanta, a Reykjavik: l'Islanda contava sulla possibilità di annunciare la disponibilità di capitali in valuta. Il primo ministro Geir Haarde ha dovuto così ammettere, un po' sconsolato, che «su questa, come su ogni altra cosa, nulla è certo fino a quando non sarà certo».
Difficile però che la Russia faccia marcia indietro. La mossa di Mosca ha un forte valore geopolitico. L'Islanda è stata a lungo un importante avamposto della Nato, ma l'impegno del Pentagono si è ridotto a zero: gli ultimi quattro caccia e gli ultimi soldati sono stati ritirati nel 2006, malgrado le proteste di Reykjavik.

La generosità russa non cambierà probabilmente le alleanze esistenti, ma è evidente l'obiettivo di Mosca: gettare un sasso nel giardino un po' abbandonato degli Stati Uniti e - perché no? - avvicinarsi all'isola atlantica, in posizione strategica da un punto di vista militare, e non solo. L'Islanda è un luogo straordinario per i grandi provider di internet e di banche dati, in cerca per ragioni tecnologiche di basse temperature a basso costo.
I russi non sono stati comunque i soli ad accorrere. Il Giappone ha subito offerto aiuti attraverso il Fondo monetario internazionale, una proposta accompagnata dalle pressioni di Stati Uniti e Gran Bretagna. L'Islanda ha però detto no: non vuole essere confusa con i Paesi che hanno bisogno del sostegno dell'Fmi. Anche il ministro delle Finanze norvegese Kristin Halvorsen si è detta pronta ad intervenire, «ma non ci hanno contattati», ha aggiunto. Così come non sono stati interpellati i Governi scandinavi che avevano sostenuto Reykjavik ai primi accenni della crisi globale.

Qualche aiuto in più, però, non sarebbe guastato. Le decisioni prese dallo Stato islandese sono difficili da sostenere. La Sedlabank ha dovuto "bloccare" la valuta: la corona ha perso il 60% dall'inizio dell'anno, e il 30% solo lunedì. A dicembre ne occorrevano circa 92 per comprare un euro, l'altro ieri ne erano necessarie 200. La banca centrale ha ora fissato momentaneamente il valore della corona al livello 175 dell'indice del cambio effettivo, che corrisponde a quota 131 per un euro. Non si è comportata però di conseguenza. «Devono dare qualcosa, per esempio vendere euro a 131 corone ciascuno», ha protestato un trader locale. «Non possono fare un annuncio e sperare che le cose vadano nella direzione giusta».
Le riserve valutarie, a meno di tre miliardi di dollari, non permettono in realtà grandi interventi. La corona ha così terminato la giornata a 150, il 12,8% in meno del livello voluto dalla Sedlabanki. Per la Banca centrale questo non appare come un problema: il cambio fisso fa riferimento alle contrattazioni interbancarie, nelle quali la corona si è fermata a 136,21. La speranza è che la minore volatilità su questo comparto contagi anche tutti gli altri mercati.

È una scommessa tutta da vincere, come quella del salvataggio del sistema bancario: si scioglie come neve al sole e le sue attività sono almeno il 300% del Pil dell'isola. Dopo aver nazionalizzato la Glitnir, la settimana scorsa, il Governo ha "licenziato" ieri il board della Landesbanki, un istituto privato, e l'ha posto in amministrazione controllata. Solo la Kaupthing Bank resta quindi indipendente. Questo non ha impedito al premier di dire: il Paese non sarà insolvente. I quattro miliardi promessi da Mosca sono effettivamente quanto occorre per risanare tutto. Standard & Poor's però ha declassato l'economia e nessuno vuole far ora affari con Reykjavik. Esattamente come era accaduto per Lehman Brothers e Bear Stearns.

riccardo.sorrentino@ilsole24ore.com

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